Di Raffaele di Marcello
Una pubblicazione dell’ECF di qualche anno fa ha esaminato i dati di incidentalità di 68 città in California USA, 47 città in Danimarca e 14 paesi europei, per confrontare la correlazione tra gli incidenti che vedevano coinvolti veicoli a motore e pedoni/ciclisti e il numero di utenti non motorizzati presenti sulla strada.
In particolare un approfondimento di Peter Lyndon Jacobsen ha rilevato che ci sono meno incidenti tra auto e gruppi di pedoni e ciclisti dove la presenza di queste ultime categorie di utenti della strada è maggiore, in quanto gli automobilisti adattano i loro comportamenti in base alla presenza, più o meno “importante” di altri utenti della strada.
Recentemente un gruppo di psicologi sociali dell’Università di Bologna ha analizzato e catalogato decine di studi dedicati alle collisioni tra veicoli motorizzati e biciclette: una rassegna sistematica della letteratura scientifica che è da poco stata pubblicata dalla prestigiosa rivista Transport Reviews.
L’analisi del gruppo di ricerca Unibo – condotta all’interno del progetto europeo XCYCLE, coordinato dal Dipartimento di Psicologia – evidenzia due cause principali per gli incidenti che coinvolgono i ciclisti: i comportamenti di chi si muove in strada e le caratteristiche delle infrastrutture stradali.
In molti casi è una precedenza non data – o da parte del ciclista o dell’automobilista – a risultare fatale, ma spesso gli incidenti nascono anche da una mancata percezione della presenza di una bicicletta in strada. Tra i pericoli che emergono più di frequente in questo senso ci sono i “blind spot”, angoli ciechi nel campo visivo dell’automobilista che impediscono di inquadrare per tempo gli utenti deboli della strada.
Gli incidenti si verificano però anche quando il ciclista è, in teoria, ben visibile: un fenomeno noto come “looked but failed to see”, guardare senza riuscire a vedere. “La nostra attenzione – spiega il ricercatore Unibo Gabriele Prati – opera selezionando alcuni stimoli da noi attesi, come ad esempio possibili macchine in arrivo, ma tralasciandone altri, spesso meno attesi. Per questo può succedere che, pur guardando in una direzione, non si riescono a percepire alcuni elementi rilevanti per la propria e altrui sicurezza, ad esempio un utente vulnerabile della strada che sta sopraggiungendo”.
Più piccole, meno veloci e più rare delle auto, le biciclette fanno insomma più fatica ad affacciarsi nel campo di attenzione degli automobilisti. Tanto che – altro fenomeno che emerge dallo studio – quando le bici sono invece molto presenti gli incidenti calano. “L’effetto – continua Prati – è noto come ‘safety in numbers’: all’aumentare del numero dei ciclisti, aumenta la sicurezza dei ciclisti stessi. I conducenti di automobili diventano più consapevoli della presenza dei ciclisti e migliorano la loro capacità di anticiparne la presenza nel traffico. Più persone utilizzano la bici, più è visto come legittimo uno spazio urbano propriamente attribuito. Cambia l’aspettativa sociale e le persone decentrano il proprio punto di vista come utenti della strada”.
Poi ci sono le infrastrutture, e sotto questo aspetto i risultati sono in parte controintuitivi. Se da un lato, infatti, la presenza di piste ciclabili separate dal traffico motorizzato gioca un ruolo importante per la sicurezza dei ciclisti, dall’altro le corsie riservate ai ciclisti possono rivelarsi particolarmente pericolose in prossimità degli incroci.
Anche in questo caso, conta la percezione: mentre la presenza di un ciclista sulla strada ha di norma l’effetto di un campanello di allarme, quando le due ruote restano a lungo fuori dal campo visivo (perché c’è una separazione tra traffico motorizzato e traffico ciclabile) chi è in macchina si trova meno preparato a reagire alla loro presenza improvvisa. “Per questo motivo – conclude Gabriele Prati – la raccomandazione che arriva dagli studi scientifici è quella di un mix fra infrastrutture per i ciclisti, separate dal traffico motorizzato, e strade a velocità ridotta (come ad esempio le ‘Zone 30’), dove due e quattro ruote condividono la carreggiata”.
Quindi gli studi scientifici sono concordi: più condivisione dello spazio stradale tra le diverse tipologie di utenti (trasporto pubblico locale, auto, ciclisti, pedoni), maggiore livello di attenzione da parte di tutti, minori incidenti.
Ma, ed è qui che nasce il problema, la normativa italiana, in tal senso, è inadeguata, in quanto profondamente auto centrica, con la marginalizzazione del pedone, e del ciclista, tendendo ad arginare la loro presenza in spazi confinati (marciapiedi, piste ciclabili, aree pedonali), spazi che, nella realtà quotidiana, sono sempre meno presenti nelle nostre città.
Servono, quindi, politiche che favoriscano gli spostamenti quotidiani a piedi e in bicicletta ma è anche necessario rivedere le norme vigenti, Codice della Strada in primis, adeguandole alle evidenze scientifiche dando pari, se non maggiore dignità, a pedoni e ciclisti, permettendo loro di riappropriarsi degli spazi stradali, in modo da aumentare la sicurezza di tutti.