Sicurezza dei ciclisti: facciamo chiarezza

di Edoardo Galatola – Responsabile Sicurezza Stradale FIAB

Sull’onda emotiva della morte di Michele Scarponi, a cui va il nostro commosso saluto, si è parlato molto della sicurezza dei ciclisti, anche se non sempre con cognizione dell’argomento.

Nel convenire della rilevanza del problema, parlare di “strage infinita” e numeri da terzo mondo perde di vista il fatto che, a fronte di un indubbio aumento dei ciclisti, gli incidenti si stanno progressivamente riducendo (372 morti nel 2000, 331 nel 2005, 263 nel 2010 e 251 nel 2015). Senza dimenticare che chi va in bici ha una speranza di vita attesa di un anno e mezzo sopra la media (mentre a causa degli incidenti la perdita media è di 10 giorni).

Questo dato ricorda che gli interventi più efficaci per la sicurezza dei ciclisti sono quelli che ne incentivano la crescita, sintetizzati nel motto inglese “Safety in numbers”. In questa direzione si sono mossi gli interventi proposti dalla legge delega per la riforma del Codice della Strada: controllo della velocità, condivisione degli spazi, riorganizzazione del traffico urbano, ricognizione in ambito extraurbano, regolamentazione separata del ciclismo amatoriale e sportivo, promozione della mobilità ciclopedonale e TPL, per citare alcuni dei punti salienti.

Purtroppo il disegno di legge, già passato alla Camera il 9 ottobre 2014, è fermo al Senato da due anni e mezzo. La volontà politica di intervenire sul tema della sicurezza stradale sarebbe dimostrata dal completamento dell’iter del provvedimento. Molto meno efficaci sono invece interventi estemporanei proposti quali ad es. l’obbligo di rispetto di 1,5 metri nel sorpasso: condivisibili in via di principio e come campagna informativa, ma di difficile applicabilità pratica come sanzionabilità.

La necessità di regolamentare in modo separato ciclismo urbano ed amatoriale emerge anche dalla dinamica dell’ultimo incidente di cui stiamo tristemente dando conto, dove l’impatto con il furgone che non ha rispettato la precedenza ha causato la morte sul colpo del corridore in allenamento. Inoltre meno del 10% degli incidenti ai ciclisti urbani avviene in ambito extraurbano.

È del tutto fuori luogo, pertanto, affermare che “i ciclisti che percorrono le strade nazionali e provinciali lo fanno a loro rischio e pericolo”. Le strade sono di tutti, la convivenza dei diversi mezzi è possibile purché se ne rispettino le peculiarità, sempre però in un’ottica di moderazione del traffico. Ciò va nella direzione delle richieste del IV programma quadro UE. Magari emanando con soli 7 anni di ritardo e a 3 dalla scadenza, il Piano Nazionale della Sicurezza stradale Orizzonte 2020, ancora consultabile in bozza sul sito del Ministero dell’Ambiente.